Sei consapevole del tuo stato emotivo?

Quando incontriamo una persona, nel 90% dei casi la salutiamo con una domanda, che in realtà spesso è una frase di circostanza: “Come va?”. La risposta solitamente è altrettanto di circostanza: “Bene, grazie, e tu?”

Se il rapporto è abbastanza superficiale, un dialogo del genere ci può stare, sia la domanda, sia la risposta di circostanza: quando diversamente la risposta è “Insomma, così e così”, o addirittura: “Male”, il dialogo rischia di cadere in un profondo imbarazzo.

Come ti senti?

Molto diverso è il caso in cui le persone sono in profonda confidenza ed amicizia tra loro: In quei casi, spesso la domanda è sempre la stessa, tutt’al più declinata in un più confidente “Come stai?”. Ecco, già cambiare la domanda da “Come va”? a “Come stai?”, o forse ancor meglio “Come ti senti?”, potrebbe aprire a risposte più variegate.

Ma il vera problema non sta tanto nella domanda, quanto nella capacità di dare una risposta, prima di tutto a noi stessi.

Prova ad immaginare che alla domanda “Come stai”, tu non possa rispondere né bene, né male, né abbastanza… e neanche abbastanza bene o abbastanza male, ovviamente 🙂 Probabilmente ci troveremmo in forte imbarazzo. Per quale motivo?

Possiamo vivere migliaia di stati emotivi diversi

Credo che l’imbarazzo possa derivare dal fatto che molto spesso abbiamo una confusa consapevolezza del nostro stato emotivo, e questa confusione può dipendere in parte anche dal nostro limitato vocabolario emotivo.

Prendo spunto dal solito Marshall Rosenberg, ideatore del metodo della Comunicazione Non Violenta.

Ritornando alla domanda iniziale – “Come stai” – le risposte possibili possono essere 1.000. Non siamo solo tristi o felici: esistono 1.000 emozioni diverse, 1.000 stati interiori diversi, 1.000 stati emotivi diversi, che non si riducono soltanto al bene, male, abbastanza, o felice, triste, più o meno.

Perché tutto questo è importante? Perché dare un nome preciso all’emozione che stiamo vivendo, ci permette di accoglierla, di fronteggiarla e di viverla in modo molto più profondo, e anche produttivo, e questo vale:

  • sia nel rapporto con se stessi
  • sia nel rapporto con gli altri.

L’importanza della consapevolezza emotiva nel rapporto con se stessi

Supponiamo tu sia un’insegnante. Un pomeriggio, solo in casa, improvvisamente ti senti addosso una tristezza molto forte, per il rapporto difficile con un tuo studente.

Prova a chiederti: come ti senti? Ok, ti senti giù, ti senti triste, ma triste è un po’ vago, potresti sentirti:

  • esasperata perché ti sembra di non riuscire ad aiutarlo
  • colpevole perché potresti fare di più
  • arrabbiata perché non riesci a mantenere la calma
  • frustrato perché ti sembra impossibile che ti stia accadendo questo dopo tanti anni di insegnamento
  • infastidita perché ti sembra che le colleghe ti giudichino
  • impotente perché hai già provato a relazionarti con lui in tanti modi ma non c’è stato verso

Pensi che siano sottigliezze? Io non credo. Credo che a seconda della precisa emozione che stiamo vivendo, potremo mettere in atto strategie che ci aiutino a viverla e ad affrontarla.

Credo che più sapremo identificare con precisione l’emozione precisa che sta alla base del nostro stato interiore, più riusciremo a fronteggiarla in modo produttivo.

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L’importanza di raccontare i propri stati emotivi

E se questo è vero e utile con se stessi, lo è altrettanto nei confronti degli altri.

Rimanendo all’esempio precedente, immagina che quel giorno in cui ti senti triste, arriva a casa il tuo partner, che ovviamente ti vede triste, e ti chiede: “Ti vedo triste, come mai? Cos’è successo?”

Un conto è dirgli semplicemente “Mi sento giù perché con quello studente le cose non stanno andando per niente bene”, un conto è riuscire a raccontargli in modo più preciso il sentimento che provi: esasperato? colpevole? arrabbiato? infastidito? impotente?

Credo che tutto questo valga sia per le emozioni negative, ma anche per quelle positive; se siamo felici per qualcosa, capire più in profondità in cosa consista e da dove provenga quella felicità può aiutarci ad essere più consapevoli sui nostri valori ed obiettivi di vita.

Riuscire a dire soltanto “sto bene”, oppure “sto male”, sarebbe un po’ come se andando dal dottore potessimo soltanto dirgli:

“Dottore, sto male, mi aiuti, la prego!”.

Tanto più riusciremo ad individuare il punto del corpo che sta soffrendo e i sintomi che troviamo, tanto più riusciremo a trovare il modo di stare meglio.

Credo che riuscire ad allargare il proprio vocabolario emotivo possa servire sia a stare meglio con se stessi, sia a comunicare in modo più vero con gli altri.

Quindi: la prossima volta che ti chiederanno: “Come stai?”, rispondi pure “bene, grazie”, ma appena sarai da solo, rivolgi nuovamente la domanda a te stesso.

Anzi, non attendere che siano gli altri a chierti come stai.

Ogni momento è buono per cercare di leggerci dentro: ci aiuterà a conoscerci meglio, e ci aiuterà anche a capire meglio come comportarci con noi stessi.

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