Le 4 fasi del Perdono #3

#1 – I Benefici del Perdono
#2 – 10 idee sbagliate sul Perdono
#3 – Le 4 fasi del Perdono

Perdonare non è facile, lo sa bene che è stato ferito intensamente.

Ma nel contempo sa che sarebbe bello liberarsi finalmente dal peso della rabbia, del rancore e del risentimento, ritrovando serenità e pace.

Se riusciremo a perdonare, riusciremo finalmente a lasciare andare tutto il peso del passato, saremo più liberi, più leggeri, più sereni, più felici.

Il perdono non è un passo, non è soltanto frutto di una decisione, ma è un cammino, un processo lungo e profondo: darsi tutto il tempo necessario per attraversare in pienezza il processo del perdono è fondamentale, perché non sia qualcosa di superficiale, ma sia un perdono pieno.

La fede cristiana ci chiede in modo intenso di perdonare, ma questo non deve spingerci a bruciare le singole tappe per arrivare al vero perdono.

Per parlarvi del processo del perdono utilizzerò come modello le 4 fasi del perdono delineate da Robert Enright.

Un’ultima premessa: per essere capaci di perdonare, occorre accettare che a volte le cose non funzionino, che se anche ce l’abbiamo messa tutta, c’è qualcosa che sfugge al nostro potere: la nostra libertà e la libertà dell’altro, che rimangono un mistero a volte imperscrutabile.

1 – La fase della consapevolezza

Il primo passo è entrare in contatto con la propria esperienza e le proprie emozioni, principalmente il dolore e la rabbia.

Dobbiamo percepire il nostro disagio, riconoscere l’offesa che abbiamo ricevuto e la sofferenza che ne è derivata: non si può arrivare al perdono fingendo che non sia successo nulla o minimizzando il proprio dolore.

In questa fase potremmo scoprire di non aver affrontato pienamente le nostre emozioni di rabbia e sofferenza, perché sono emozioni che ci spaventano, e a volte preferiamo non guardarle negli occhi.

Occorre comprendere con chiarezza:

  • ciò che è accaduto;
  • chi è stato a causarlo;
  • a chi è stato fatto un danno: a noi come magari anche altre persone;
  • le conseguenze nella nostra vita e in quella di altre persone coinvolte.

È il tempo del dolore, primo passo necessario: finché non ne saremo pienamente consapevoli accettandolo in pienezza, non potremo neppure superarlo, perché un domani potrebbe ritornare a galla, vanificando le fasi successive.

2 – La fase della decisione

Qualunque cammino inizia con la decisione di partire. E per partire è importante avere chiaro cosa sia e cosa non sia il perdono: le 10 idee sbagliate sul perdono.

Come ogni decisione, anche quella di perdonare deve essere una scelta libera: niente e nessuno può costringere a questa scelta, né se stessi, né gli altri, né i propri valori morali e religiosi; potremo essere incoraggiati, ma alla fine la decisione deve essere nostra: libera, intima, personale.

Chi è stato ferito, decide di incamminarsi sulla via del perdono perché si è reso conto che non perdonare… non ha funzionato! Ovvero si rende conto che soltanto camminando verso il perdono potrà ritrovare quella serenità che la rabbia e il rancore non sono in grado di garantirgli.

3 – La fase della comprensione e della compassione

Siamo finalmente nel momento culminante del processo del perdono.

Parte di queste idee le devo anche ad Antonio Quaglietta, che nel suo splendido canale e in diversi suoi bellissimi video parla del perdono con una profondità meravigliosa.

Il processo del perdono ha al suo centro una parola fondamentale: comprendere, e il comprendere ha bisogno di tempo, di molto tempo.

Ma comprendere in che senso? Nel senso di giustificare? No, non è quello, è qualcosa di più, che richiede un’evoluzione personale profonda, che non tutti riescono a fare o se la sentono di fare.

Comprendere significa capire che chi ci ha ferito, ha agito in quel modo in quanto è differente da me (e già questo è difficile capirlo) e che se lui ha agito così, in quel momento ha fatto ciò che era capace di fare, perché ognuno di noi è capace di dare amore a seconda di quanto e quale amore ha ricevuto.

Lo so: se stai combattendo contro un male molto intenso e queste parole potrebbero essere difficili da ascoltare, ma prova ancora a seguirmi in questo percorso.

Durante questa fase si impara a vedere chi ha sbagliato da una nuova prospettiva, come un essere umano e non come il male incarnato.

Inizialmente la comprensione sarà sul piano razionale, non vi saranno ancora sentimenti positivi nei confronti di chi ci ha offeso; in un secondo momento potrà esserci un cambiamento anche sul piano emotivo.

Per comprendere ci possiamo chiedere: perché si è comportato così? Sappiamo infatti che dietro ad ogni comportamento c’è sempre un motivo! Questa domanda potrebbe condurci molto lontano.

Ognuno di noi ha avuto dei genitori, un’infanzia, delle esperienze, delle difficoltà, una vita diversa da noi: non possiamo sapere tutto della sua vita, ma sappiamo che è diversa dalla nostra. La sua vita l’ha portato ad avere quei valori, diversi dai miei; l’ha portato a fare quelle azioni, che io magari non avrei fatto. Chi non ha mai ricevuto una carezza, non è capace di amare.

Arriviamo così a comprendere che le radici del male spesso sono molto profonde, risalgono ai nostri genitori, che a loro volta hanno ricevuto oppure no qualcos’altro dai loro genitori, e ancora indietro chissà quanto.

Tutto questo lo trovo riassunto splendidamente in queste brevi parole, dette da una donna che ha sofferto tanto a causa di sua madre, pronunciate dopo esserla andata a trovare in una casa di riposo:

Oggi mi sono sentita profondamente madre di mia madre. Ho capito che lei mi ha dato tutto quanto poteva, e non avendo ricevuto, quello e solo quello poteva darmi.

Il perdono nasce da questo: comprendere che l’altro non poteva comportarsi in modo diverso. O magari poteva, se avesse avuto una vita diversa.

Potremmo dire: ma io al suo posto mi sarei comportato diversamente: certo che noi ci saremmo comportati diversamente. Ma il punto è: se io fossi lui, avrei avuto la possibilità di comportarmi diversamente?

L’esperienza dei Cappellani del Carcere

Tanti cappellani del carcere riferiscono che dopo aver ascoltato in modo profondo e non giudicante la storia di chi sta scontando la sua condanna, sentono nascere in loro questa idea:

Accidenti, che vita… se io fossi stato al suo posto, avrei fatto le stesse ed identiche cose, se non peggio!

Ora, un ragionamento del genere è relativamente facile farlo nei confronti di chi ci è lontano: se hai seguito la toccante Via Crucis del Venerdì Santo in una Piazza San Pietro deserta, credo che anche tu ti sia commosso nell’ascoltare le storie di quei carcerati che fin dalla loro infanzia pareva quasi che avessero il destino segnato. Abbiamo provato una profonda compassione per loro, forse abbiamo pianto nell’ascoltare la sofferenza che ha segnato così profondamente le loro vite.

Lo spostamento del focus: da noi all’altro

Fare questi pensieri è più difficile nei confronti di chi ci ha ferito, le cui parole ed azioni ancora ci bruciano sulla pelle, il cui ricordo ci basta per sentire ancora quel dolore così profondo: perché in tal caso siamo noi ad essere stati toccati, e così è estremamente difficile spostare il focus da noi all’altro.

Se riceviamo un calcio, è difficile che stiamo lì a pensare: “Chissà come mai mi ha colpito?” E se i calci ricevuti sono tanti, è veramente dura cercare di comprendere che in fondo lui aveva un motivo per colpirmi: quando soffriamo, la nostra attenzione è su di noi, compreso il chiederci: “Ma come mai ha voluto fare questo male proprio a me?”

Per comprendere dobbiamo spostare la nostra attenzione da noi per rivolgerla all’altro, alla sua storia, al suo passato, pensando che se io fossi stato lui forse mi sarei comportato allo stesso modo.

È quello che è stato capace di fare Gesù sulla croce: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”. Non sanno: se davvero sapessero, non a livello intellettuale, ma a livello profondo, se davvero avessero saputo il male che stavano causando, forse non lo avrebbero fatto.

Potremo anche comprendere un’altra cosa importantissima: non è detto che lui abbia fatto quello per fare male a me. Non è detto che quello fosse il suo scopo; il suo scopo magari era un altro, per raggiungerlo mi è passato sopra. Non che faccia meno male, ma questo pensiero può toglierci dall’ossessione di essere stati colpiti con la precisa intenzione di farci del male.

Un atto supremo di umanità

Il perdono è un atto supremo di umanità, perché ci fa riconoscere che siamo tutti fragili, siamo tutti mendicanti di amore, di bene, di sicurezza, e in questo nostro mendicare, a volte ci facciamo male gli uni agli altri, perché in quel momento ci sembra l’unico modo per avere quello di cui abbiamo bisogno.

Per fare questo, dobbiamo essere capaci, se non di comprendere, perlomeno di immaginare ciò che lui può aver vissuto; che anche se è diverso da me, in realtà è un uomo come me, è un uomo debole e mendicante tanto quanto me.

Un’ultima annotazione: il ragionamento dietro a questa terza fase potrebbe suonare una giustificazione del male, quasi a dire: “Se uno si è comportato così, è perché non aveva alcuna scelta”. In alcuni casi credo davvero che una persona possa essere talmente prigioniera del suo passato e delle sue esperienze, da non avere quasi scelta. In altri casi, ognuno di noi può essere condizionato da tante cose, ma rimane libero di scegliere in una direzione o nell’altra, di scegliere il bene o il male.

Ma in questa terza fase sperimentiamo la comprensione e la compassione: cerchiamo di comprendere come una persona, seppur abbia sbagliato, possa essere stata condotta fino a quel punto da certe sue scelte sbagliate, dando un peso anche al suo passato, che può averlo condizionato. La comprensione dell’umanità dell’altro diventa allora fonte di un sentimento di fraternità, perché ci sentiamo tutti peccatori, sentiamo che tutti abbiamo sbagliato e tutti abbiamo bisogno di perdono.

4 – La fase dell’approfondimento

Chi è riuscito a perdonare, in questa ultima fase si rende conto che le emozioni spiacevoli che provava fino a quel momento sono diminuite, e sente di iniziare a provare emozioni positive di comprensione e compassione verso chi l’ha ferito.

Chi è stato ferito riflette sulle conseguenze benefiche del perdono, e può arrivare a trovare anche un significato nella sofferenza che ha provato: attraverso di essa, ha imparato a sentirsi più unito agli altri, ha sviluppato un più profondo senso di umanità e di compassione.

Arriva anche a farsi domande profonde su di sé: si rende conto che anche lui ha fatto degli errori facendo soffrire qualcuno, e ha avuto bisogno di essere perdonato da qualcun altro.

A quel punto chi è riuscito a perdonare si sente finalmente libero dalla prigione emotiva in cui era rinchiuso e scopre di essere cresciuto attraverso l’esperienza che ha vissuto.

Un bilancio del lungo viaggio del Perdono

Abbiamo concluso questo viaggio nel perdono, che personalmente ho trovato affascinante; non so se anche tu ti sei convinto della bellezza del perdono.

Fin dall’inizio ti ho detto che il perdono non è un atto, ma è un processo che necessita di tempo: scoprirai la bellezza e la profondità di questo percorso nel momento in cui accetterai liberamente di incamminarti su questa strada.

Chi decide di partire, uscirà profondamente trasformato dagli effetti del perdono che sarà riuscito a donare a se stesso prima ancora che all’altro, perché il perdono è una trasformazione interiore; è una scelta che va a modificare profondamente la nostra vita e il nostro modo di percepire il mondo e le relazioni intorno a noi.

È un processo profondo di comprensione e compassione verso l’umanità altrui.
È un dono che facciamo anche a chi ci ha ferito, se questo dono lo desidera e lo accoglie.
E prima ancora ci libera dal rancore, facendoci evolvere e crescere nella nostra umanità.

Nei prossimi video affronteremo una forma particolare di perdono di cui tutti noi abbiamo bisogno: il perdono verso noi stessi.

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