Come approcciare le persone: impariamo dai gatti

Andando a benedire le famiglie incontro moltissimi animali domestici, e quando in qualche casa c’è un gatto sono sempre molto felice, al punto di dare più attenzione a lui che alle persone che sono in casa: ritengo che i gatti siano animali eleganti ed affascinanti, starei a guardarli per ore.

Credo che possiamo imparare molto dai gatti riguardo a come relazionarci con le persone, specialmente nel primo approccio, nel primo contatto.

I gatti sono animali estremamente diffidenti e ci vuole tempo e pazienza per convincerli ad avvicinarsi.

  • Se vai verso un gatto con passo deciso e risoluto, facilmente lui scapperà via.
  • Se lo ignori completamente, anche lui probabilmente tenderà ad ignorarti.

Quando entro in casa di qualcuno e vedo un gatto, mi viene istintivo abbassarmi e tendere la mano, rimanendo fermo, o facendo qualche piccolo verso. Il gatto ha bisogno di capire chi sei, di annusarti, di avvicinarti piano piano… dopo un primo momento in cui ha studiato della situazione e la persona, allora si avvicina, annusa le dita, e via via si lascia accarezzare, sempre con molta calma, e poi inizia a strusciarsi sulle gambe o sulle braccia facendo le fusa.

A quel punto, le casalinghe scrupolose si allarmano: Reverendo! La sta riempiendo di peli!

I gatti ci fanno capire che le persone hanno bisogni analoghi quando conoscono qualche persona nuova.

Se nel primo approccio siamo troppi irruenti, dando un’eccessiva confidenza, può essere che le persone non si sentiranno a proprio agio, e potranno allontanarsi un pochino.

Ad esempio, le distanze interpersonali non possono essere le stesse con persone che conosco da anni e persone che ho appena incontrato. Una stretta di mano (distanziamenti sociali a parte) è un gesto abbastanza neutro, ma se una persona appena conosciuta mi mette entrambe le mani sulle spalle o mi cinge il fianco o mi parla a distanza di mezzo metro, non so voi, ma a me mette particolarmente a disagio.

Un disagio analogo lo provo se una persona non mi dà alcuna confidenza, mi sta lontano, mi evita.

Credo che possa essere utile pensare che le persone siano come i gatti: hanno bisogno di studiare il territorio, di annusarci prima di darci confidenza; hanno bisogno di stare a distanza, ma nel contempo di sentire che c’è un interesse per loro, di modo che possano avere la tranquillità di avvicinarsi con calma e con serenità, senza sentire pressione e senza avvertire disinteresse.

Insomma, non dobbiamo essere né troppo estroversi, cercando troppo presto contatto e vicinanza fisica e non pretendendo da subito grandi discorsi, né troppo introversi, dando l’impressione che non siamo interessati all’altro e al suo mondo.

Piccola divagazione: Paolo Ragusa, un amico consulente pedagogico, ripete sempre che c’è un genere di persone che sono come i gatti: gli adolescenti. Chi ha figli adolescenti credo che l’abbia sperimentato tante volte: puoi chiedere loro mille volte cosa hanno fatto, cosa sentono e cosa pensano ; il più delle volte la risposta è niente, uffa, o non rompere.

Salvo poi avvicinarsi nei tempi e nei luoghi più impensabili per raccontarti per filo e per segno ciò che tu mille volte hai cercato di sapere. E credo che in quei momenti sia importante mollare tutto per cogliere la buona occasione di lasciarli parlare e farsi un po’ coccolare, anche soltanto tramite un ascolto attento e non giudicante.

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